sabato 8 dicembre 2007

ecco la storia del duomo...


Di fronte al Battistero sorge la grandiosa mole del Duomo, o basilica di Santa Maria del Fiore, insigne monumento che nel suo complesso appare unitario (specialmente all’esterno, per l’impiego degli stessi marmi di rivestimento: bianco di Carrara, verde di Prato e rosso di Maremma), ma che a un’analisi più accurata rivela nelle sue parti notevoli diversità di stile, attestanti il lungo spazio di tempo intercorso tra la fondazione e il completamento ottocentesco. Il Duomo occupa il posto dove dall’XI secolo era la basilica romanica di Santa Reparata, insignita nel secolo successivo del titolo di cattedrale, precedentemente attribuito a San Lorenzo.


Gli scavi effettuati nel 1971-72 nell’area tra il Battistero e il Duomo hanno rinvenuto un tratto della fondazione delle mura di “Florentia” romana e parti di basolato di un decumano minore, con resti di edifici attigui. Per i periodi successivi si sono evidenziate due grandi fornaci funzionali alla costruzione di Santa Reparata, un’area cimiteriale (XII secolo) e le fondazioni di pilastri forse del XIII secolo, la posizione dei quali è riconoscibile nel nuovo lastrico.


Quando i successi economici e politici e l’espansione demografica della città determinarono la realizzazione di vasti progetti urbanistici nel nuovo ampio perimetro delle mura arnolfiane (1284-1333), si rese indispensabile anche una nuova cattedrale di adeguata ampiezza e importanza. Dopo il tentativo di consolidare e ingrandire la vecchia Santa Reparata, nel 1294 la Signoria dette incarico ad Arnolfo di Cambio, impegnato in un programma unitario di edifici civili e religiosi, di preparare un progetto di rinnovamento definitivo, e l’8 settembre 1296 fu posta la prima pietra benedetta. La nuova cattedrale fu intitolata a Santa Maria del Fiore, ma i Fiorentini continuarono a chiamarla con l’antico titolo fino al 22 aprile 1412, quando la Signoria decretò l’obbligo della nuova denominazione, nella quale il nome della madre di Dio era unito al simbolo di Firenze. Arnolfo, prima della sua morte, eseguì il muro di facciata e quelli laterali fino a una certa altezza, allargando la facciata di Santa Reparata e incorporando nella nuova fabbrica, per circa 10 metri dalla parte destra, alcune case dei canonici, e dall’altra il campanile che sarà demolito completamente nel 1356.


Un nuovo impulso ai lavori si ebbe nel 1331 allorché, con la traslazione del corpo di San Zanobi e il ritrovato fervore religioso, la Signoria aveva definito gli stanziamenti e affidato la soprintendenza dei lavori all’Arte della Lana. Nel 1334 era stato nominato capomastro Giotto ma la sua opera si limitò alla progettazione del campanile già previsto da Arnolfo. Dopo la morte di Giotto (1336) neppure il successore Andrea Pisano, impegnato a proseguire il campanile, si dedicò alla chiesa. Intorno al 1350, dopo la morte di Andrea, Francesco Talenti, nominato capomastro, partecipò inizialmente ai lavori per il campanile e nel 1356 riprese quelli della chiesa che erano stati interrotti anche a causa della crisi economica. A questa data l’area della futura chiesa era ancora occupata dalla vecchia cattedrale, aperta necessariamente al culto, dal monastero dei canonici, da case e botteghe e dalla primitiva chiesa di San Michele Visdomini, tanto che gli Operai (amministratori) di Santa Maria del Fiore nel 1355 avevano ordinato al Talenti un modello per vedere “come deono istare le cappelle di dietro”. Invece di una semplice variante al progetto iniziale, il Talenti propose un nuovo modello più moderno nel quale, senza alterare la larghezza complessiva dell’edificio, lo spazio gotico arnolfiano veniva amplificato mediante la riduzione del numero delle campate e il rialzamento della copertura a volte in rapporto all’aumentata distanza tra i pilastri. Entro il 1364 il Talenti riuscì a realizzare le prime tre campate del corpo longitudinale, quando venne dimesso dalla direzione dei lavori. Nel 1367 una commissione di architetti, “maestri dipintori” e orafi tra i quali Neri di Fioravante, Benci e Andrea di Cione, Taddeo Gaddi e Andrea di Bonaiuto (autore dell’affresco nell’aula capitolare di Santa Maria Novella con la raffigurazione del Duomo), approvò il progetto definitivo della parte absidale portando il diametro della cupola da 36 a 41 metri, e creando il tamburo a occhi su proposta di Lapo Ghini, successore del Talenti ed esecutore di quasi tutta la struttura delle navate. Il Talenti tornò poi come capomastro restando all’Opera fino al 1370 circa, data in cui era stata anche definita la forma e la misura del corpo della cupola e delle cappelle; nel 1378 fu compiuta la volta della navata centrale, nel 1380 erano terminate le navate laterali, e la costruzione prosegui poi fino al 1421 con le tribune e il tamburo della cupola.


Per l’innalzamento della cupola si ripropose il dibattito che aveva caratterizzato il compimento della cattedrale e appassionato la città per tutta la seconda metà del Trecento. Il concorso del 1418 pose l’attenzione su Ghiberti e Brunelleschi che da giovani si erano ‘scontrati’ al concorso per le porte del Battistero. Questa volta risultò vincitore il progetto di Brunelleschi; la soluzione adottata, profondamente innovativa dal punto di vista tecnico, era imperniata su una doppia calotta in grado di autosostenersi durante la costruzione, senza bisogno delle tradizionali armature (cèntine), che per l’ampiezza della volta sarebbe stato impossibile realizzare. La cupola fu chiusa nel 1436, e il 25 marzo (primo giorno dell’anno, secondo il calendario fiorentino) papa Eugenio IV consacrava il tempio. Soltanto dopo la morte di Brunelleschi (1446) si cominciò a ‘montare’ la lanterna, concepita come un’ideale ricostruzione delle rotonde classiche: la concluse nel 1468 il Verrocchio, che collocò sulla ‘pergamena’ una grande palla bronzea con la croce. La soluzione dei vari problemi di ordine tecnico ed estetico relativi alla progettazione e alla realizzazione della cupola di Santa Maria del Fiore costituisce la prima grande affermazione dell’architettura rinascimentale: essa trascende la sua funzione di elemento conclusivo dell’edificio sacro e assume la dimensione di entità riassuntiva di tutta l’organizzazione urbana-territoriale, secondo la splendida definizione dell’Alberti: “erta sopra e’ cieli, ampla da coprire chon sua ombra tutti e popoli toscani”.


La facciata arnolfiana, condotta fino a metà altezza vivente Arnolfo, avrebbe costituito un documento preciso dell’impronta stilistica da lui impressa alla sua costruzione. Purtroppo quest’opera fu distrutta nel 1588 per istigazione di Bernardo Buontalenti che proponeva una sua realizzazione più ‘moderna’, in linea con le tendenze intellettuali tardo-cinquecentesche. I principali documenti figurati della primitiva facciata sono quello contenuto in un affresco nella loggia del Bigallo datato 1342 e un disegno molto più preciso fatto eseguire a Bernardino Poccetti dallo stesso Buontalenti e conservato nel Museo dell’Opera del Duomo; da questo disegno il Poccetti stesso trasferì un’immagine colorata ad affresco nel primo chiostro di San Marco. Proprio il colore era l’aspetto essenziale voluto da Arnolfo per la sua opera, inteso non come abbellimento ma come esaltazione dei valori strutturali e costituito, oltre che dai marmi colorati, dal mosaico d’oro dei Cosmati profuso su tutta la facciata, ricca di tabernacoli e nicchioni che accoglievano una serie di grandi statue eseguite, oltre che da Arnolfo e dai suoi aiuti, da Nanni di Banco e Donatello e oggi conservate in gran parte nel Museo e all’interno della cattedrale. La facciata arnolfiana era stata da tempo ritenuta fuori moda e già nel 1491 Lorenzo il Magnifico promosse un concorso, ma il progetto non trovò attuazione. L’idea fu ripresa dal granduca Francesco I e diede luogo ad una serie di progetti, che però non furono realizzati.
buone feste Marco

1 commenti (+add yours?)

Anonimo ha detto...

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